Mastering e “Loudness War” – parte 2/3

Veniamo dunque alla parte più importante e famigerata del processo di mastering, ovvero come si ottiene il volume finale del CD e quali sono i rischi a cui andiamo incontro.

Vi ricorderete che quando copiavamo i dischi in vinile sulle audio cassette cercavamo di registrare con un volume piuttosto alto, con il VU meter che oscillava tra i +3 ed i +6 decibel, proprio perchè la resa del nastro era ottimale. Se andavamo oltre, gradualmente iniziava una leggera distorsione, che aumentava con l’alzarsi del livello di registrazione.

La cosa più importante da sapere per capire questo argomento, è che al contrario del nastro analogico, il CD (e l’audio digitale più in generale) ha un limite fisico invalicabile per quanto riguarda il volume massimo fissato a 0 dBfs (zero decibel full-scale), oltre non si va.

Ma quindi com’è possibile aumentare il volume “apparente” di un CD rispetto ad altri?
Basta ingannare l’orecchio, ed attraverso un compressore, innalzare il livello di tutto l’audio che originariamente aveva una dinamica più bassa.
In questo modo, la pressione sonora avvertita è maggiore e quindi SEMBRA che il CD suoni ad un volume più alto.

La gravissima controindicazione è la perdita della dinamica originale dei brani, è come andare ad ascoltare un’orchestra classica ed invece che sentire ogni parte dell’opera con la giusta dinamica, da ppp a fff , sentissimo tutto da f a fff.

Per spiegarvi bene l’argomento, guardate ma soprattutto ascoltate con attenzione e con un paio di buone cuffie questo filmato:

Loudness War

Quindi perchè si cerca di stravolgere la dinamica della musica in favore solamente di un volume apparente più alto?
Perchè come primo impatto uditivo, “più forte” sembra “più bello”, triste ma vero…

A partire dalla diffusione del CD audio si è innescata quella che chiamiamo “Loudness War”, ovvero la ricerca costante del risultato più spettacolare in termini di volume, insomma, il mio CD DEVE SUONARE PIU’ FORTE DEL TUO, ad ogni costo.
…ma sapete il perchè?

E’ tutto nato grazie alle colonnine d’ascolto nei negozi di dischi, con il CD audio, è stato possibile installare punti d’ascolto con delle cuffie attraverso i quali i possibili acquirenti ascoltano ciò che vanno a comprare.
Vi ho detto prima che come impatto iniziale, “più forte” equivale a “più bello”, e quindi si notava che i CD che venivano venduti di più, erano quelli che suonavano con un volume apparente più elevato.
Da quel momento è stata una escalation che ha visto momenti piuttosto bui, con album di grandi artisti che sono stati criticati perchè suonavano peggio di altri in quanto troppo “compressi”, alcuni esempi sono:

Bob Dylan – Modern Times
Christina Aguilera – Back to Basics
The Cure – 4:13 Dream
Metallica – Death Magnetic
Paul McCartney – Memory Almost Full
Pearl Jam – Ten (2009 remaster)
Queens of the Stone Age – Songs for the Deaf
Red Hot Chili Peppers – Californication
Rush – Vapor Trails

Per complicare ulteriormente le cose c’è un ulteriore elemento da considerare, le radio.
L’ascolto radiofonico avviene in mille posti diversi a volumi diversi, in auto, a casa, in cantiere, nei locali pubblici, dentro i centri commerciali, quindi in situazioni diversissime e spesso decisamente NON IDEALI per ascoltare della musica di qualità ed apprezzarne il suono.
Per fare in modo che si riesca per lo meno a captare quello che trasmette una radio a volume basso ad esempio da un parrucchiere, la musica deve essere ancora più compressa. Ciò e male, malissimo, MALERRIMO!!!

Vi assicuro che per chi fa il mio lavoro e tiene alla qualità, tutto questo è frustrante e deprimente, più di una volta è capitato di mandare il master di un CD in uno studio di mastering (l’album in questione in uscita nazional-radiofonica), e poi sentire il risultato finale talmente stravolto nella dinamica e di conseguenza negli equilibri da non riconoscere più il mio mix e/o pensare che si fosse rotto lo stereo…
(Senza fare nomi, qualcuno di voi sa già a chi mi riferisco perchè ne abbiamo parlato più volte a lezione.)

Un Mixing Engineer come il sottoscritto, che il più delle volte ha anche effettuato le registrazioni, mettendoci l’anima e tutte le conoscenze tecniche per costruire un mix dinamico, interessante ed emozionale, si ritrova poi un prodotto finito piatto, anonimo e noioso, masterizzato senza pietà da uno studio di mastering che in nome delle radio e del volume apparente ha devastato i dettagli e appiattito la dinamica… Beh, io un po’ mi ci incazzo.

Una doverosa precisazione per i miei colleghi che fanno solo mastering, FORTUNATAMENTE non è sempre così!!!
Mi è capitato proprio qualche giorno fa di ascoltare un disco di un mio caro amico, cliente ed allievo a cui avevo messo le mani per il mix, masterizzato da uno studio a Roma con un risultato splendido.
Il mio collega del mastering ha realmente ottimizzato il mix rispettandone il carattere e la dinamica, davvero un ottimo lavoro, quello che ogni Mastering Engineer dovrebbe fare…

E adesso?? Sappiate che ci sono delle alternative, io stesso ho una certificazione che mi permette di offrire ai miei clienti il mastering con un livello di pressione sonora inferiore ma con la dinamica dei brani intatta.
Per valorizzare questa scelta artistica, sui CD viene riportato il logo dell’organizzazione certificante il cui nome è “Turn Me Up!”, con la dicitura (tradotta dell’inglese):

“Per preservare l’eccitazione, emozione e dinamica della performance originale, questo disco ha un volume intenzionalmente più basso di altri. Per il pieno godimento, semplicemente Alza il Volume!”

Per saperne di più:

http://turnmeup.org

Nella prossima puntata del blog, parleremo ancora della Loudness War, del futuro stilistico del mastering e come già anticpiato degli aspetti tecnici a cui voi, nei vostri home studio dovrete prestare attenzione.

TURN THE BLOG UP!!!

😀

R_

Roberto “Robbo” Vigo
Zerodieci Studio